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BREXIT: Leggere bene le avvertenze prima dell’uso

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Passato, presente e futuro della Brexit

Nei momenti di difficoltà gli esseri umani si ritrovano spesso di fronte ad un bivio: ragionare su come si è arrivati a quel punto critico, farsi un severo esame di coscienza e riprogrammare il futuro privo di errori passati, oppure, molto più spesso, si inizia a frignare sulle giustificazioni, sulla malasorte, sul destino cinico e baro che ci ha portati dritti dritti ad una condizione di pericolo.

Quest’ultimo atteggiamento volentieri si porta con sé a corollario, anche il gesto della ribellione alle regole, provando così a far saltare il banco nel tentativo di non fare i conti con la propria coscienza.

Questo approccio pervade gli animi di quelle classi dirigenti critiche nei confronti dell’Unione Europea e in particolare dell’Euro, nella scommessa di alzare polveroni a copertura di azioni spericolate nelle differenti prospettive: politiche, finanziarie, economiche e sociali.

È il caso della Brexit e dell’attuale situazione politica inglese che corre verso una tornata elettorale dagli esiti davvero imprevedibili. Nel caos britannico, il quadro economico internazionale si è nel frattempo deteriorato con una tensione commerciale fra USA-CINA che si palesa con una serie di botte e risposte a suon di dazi.

L’esito su cui vorrei richiamare l’attenzione è l’ipotesi di no-deal, ove avesse i numeri e la volontà popolare, al termine di un percorso tortuoso. In questo scenario, tra Eire ed Irlanda del Nord andrebbe ricostituito un sistema doganale fisico, di fatto mandando al macero gli accordi del Venerdì Santo. Da qui deriverebbero tensioni crescenti che potrebbero culminare, secondo non pochi osservatori e politici britannici, in un referendum di riunificazione. Fantapolitica? Preavviso di un bagno di sangue?

A ruota, la Scozia riprenderebbe la propria iniziativa secessionista, spinta dalla volontà di restare nella Ue. Difficile fermare parlamento e opinione pubblica scozzesi, in quella ipotesi, a meno di militarizzare il paese. Incidentalmente, una simile iniziativa ridarebbe fiato (mai venuto meno, a dire la verità) al secessionismo catalano e non solo a quello, in giro per l’Europa. Alla fine, il Regno Disunito e la Piccola Bretagna finirebbero confinati a Inghilterra e Galles. Forse.

Scenari estremi? Puro divertissement di genere catastrofico? Può essere. Nel frattempo, come ci si attenderebbe razionalmente (oltre che per motivazioni economiche), la sterlina continua a deprezzarsi pesantemente. Non ci vuole un genio per comprenderne i motivi: quando un paese ha un elevato deficit delle partite correnti, quello che ci si può attendere, prima o poi, è un forte deprezzamento del cambio.

Se poi analizziamo questo deficit e “scopriamo” che la parte merci dell’interscambio commerciale verrebbe terremotata dall’esodo dal Regno Unito di produttori che non avrebbero più accesso al mercato Ue, mentre la servizi seguirebbe la stessa sorte dalla perdita del passporting per servizi finanziari britannici verso l’Unione europea, tirate voi le conclusioni su quello che può accadere al cambio.

Ma non c’è solo questo: si narra che il mondo stia precipitando verso una fase di guerre commerciali. Si sa come cominciano, queste vicende: si parte con qualche piccolo dazio, si verifica che non accade nulla di catastrofico (perché sono piccoli dazi, appunto), ci si convince allora che le guerre commerciali “si vincono facilmente” e senza sofferenze, si rilancia e ci si ritrova in una recessione difficile da curare.

Si, e allora? Allora, in periodo di guerre commerciali e di crescenti rischi recessivi, non soffre solo chi ha surplus commerciale ma anche –sorpresa sorpresa– chi ha deficit, come noi. Perché da un certo punto in avanti non è più un gioco a somma zero ma diventa a somma negativa. La sterlina come una tradizionale valuta emergente, in pratica. O meglio, in corso di immersione.